La gascromatografia e la degustazione del vino
Alcuni credono che la degustazione sia un raffinato, spesso spettacolare, esercizio di finzione, nel quale il degustatore fa sfoggio di un vocabolario evocativo e ben nutrito di aggettivi e sostantivi, raccontando di sapori e profumi che sente solamente lui, o che finge di sentire. Per altri è un esercizio serissimo, un'indagine analitica svolta attraverso i sensi con lo scopo di comprendere le qualità del vino, il suo territorio, caratteristiche produttive, corrispondenza di tipo e determinazione della qualità in senso generale. La valutazione e il condizionamento soggettivo partecipano inevitabilmente al processo della degustazione - indipendentemente dalla sua finalità - un fattore che diventa meno influente con l'aumentare della professionalità e dell'esperienza del degustatore. Le due definizioni, poste agli estremi, si possono considerare entrambe vere. C'è chi finge, c'è chi fa sul serio, così come c'è chi si improvvisa e chi è competente, come nella vita, come nel gioco.
Visto che il racconto del vino è spesso soggettivo, evocativo, interpretato in funzione dei propri interessi e dai propri modi di raccontarlo, qualcuno potrebbe chiedersi se esiste veramente un modo oggettivo e attendibile. La risposta potrebbe essere semplice e scontata: analisi chimica e gascromatografia. Con l'analisi chimica è possibile determinare la presenza e la quantità delle sostanze che compongono il vino, mentre con la gascromatografia si determina la presenza e la quantità delle sostanze volatili, in altre parole, i suoi profumi. Questo è infatti il metodo impiegato dai laboratori di analisi - così come dalle cantine, che spesso hanno un laboratorio di analisi interno - per determinare la presenza e la quantità di componenti chimici e organici presenti nel vino. Il risultato dell'analisi consente di sapere, con esattezza, la composizione di un vino e la sua corrispondenza con le varietà presenti e dichiarate, natura dei pregi e difetti.
Questo tipo di approccio si potrebbe considerare come la soluzione definitiva al racconto del vino. La freddezza dei risultati metterebbe a tacere ogni tipo di contestazione: dichiarare di percepire l'aroma di banana in un vino nel quale - analisi chimiche alla mano - non è stata rilevata la presenza dell'acetato di isoamile, equivale a non rendere attendibile quel racconto. In realtà le cose non sono così semplici come sembrano, anche perché l'aroma di banana non è determinato solamente dall'acetato di isoamile, nonostante questo sia il componente principale. L'analisi chimica di un vino determina infatti la presenza e la quantità delle sostanze che lo compongono, qualcosa che è ben diverso dalla percezione sensoriale. Il gusto e i sensi, così come le emozioni, non si basano unicamente sulla presenza e sulla quantità degli stimoli che lo determinano. È una relazione estremamente complessa, nella quale l'interazione, l'intensità e la forza dei singoli stimoli - sapori, aromi e percezioni tattili - concorrono a creare il gusto come un unico fenomeno sensoriale.
Non è sufficiente sapere che in un alimento o in una bevanda è presente lo zucchero per definirla dolce. Questo dipende dalla sua quantità in funzione delle altre sostanze che compongono l'alimento o la bevanda. Per esempio, se lo zucchero è presente in quantità eccessiva, lo stimolo che riceveremo sarà certamente dolce ma anche stucchevole, perdendo quindi la sua piacevolezza. La percezione del buon gusto - così come di un buon profumo - è quindi determinato da una condizione che difficilmente si può stabilire in modo analitico e chimico: l'equilibrio. L'armonia fra i vari stimoli e la loro relazione è impossibile da definire in modo “scientifico” poiché ognuno di noi ha il proprio riferimento di percezione, così come sensibilità e tolleranza, alla piacevolezza dei singoli stimoli. Ognuno ha il proprio gusto. Si può eventualmente definire un concetto di equilibrio oggettivo, ma è certo che questo non può essere considerato come una regola assoluta valida per chiunque. Per esempio, c'è chi stravede per il Pinot Nero, chi lo detesta, chi ritiene che il Merlot sia la migliore uva del mondo, chi invece crede sia solo un'uva molto accomodante e poco espressiva.
Non esiste, pertanto, un modo giusto e un modo sbagliato di raccontare il vino, così come non esiste un modo giusto e un modo sbagliato di affrontare la degustazione sensoriale. Dipende sempre dal tipo di risultato che si vuole ottenere e, soprattutto, la finalità d'uso, la sua destinazione finale. Le regole assolute non esistono, così come non esiste il vino migliore. Il migliore non esiste, semplicemente. Concetto estremamente relativo e fin troppo spesso soggettivo, la definizione di “migliore” non si sottrae di certo a questo principio. Ognuno ha il proprio “migliore”, ognuno ha il proprio vino del cuore, ognuno ha il proprio modo di raccontare, ognuno ha il proprio modo di ascoltare il vino e il suo racconto. In definitiva, il racconto del vino non si sottrae alle più elementari regole della comunicazione. Serve qualcuno che racconta, qualcuno che ascolta, e - per essere veramente efficace - si deve usare una lingua e un linguaggio comune, un linguaggio che entrambi non solo comprendono, ma che, soprattutto, sentono.
Per leggere il testo completo: http://www.diwinetaste.com/dwt/it2011053.php
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